L’utilizzo di droni e sensori a Sud ha bisogno di un salto di qualità dal punto di vista dell’approccio all’agricoltura
Il futuro dell’agricoltura nel Mezzogiorno d’Italia dipende in parte dalla capacità del tessuto produttivo di implementare le metodiche di smart farming, rispetto alle quali il settore primario al Sud sconta un notevole ritardo rispetto al Centro-Nord, anche se non mancano le eccellenze in tutti i comparti produttivi: per dare slancio all’applicazione delle tecnologie intelligenti sui campi meridionali servono innanzitutto formazione, per agronomi ed agricoltori, e tanta ricerca operativa: non solo per trasformare delle statiche mappe di resa in affidabili mappe di prescrizione, ma anche per consentire alle imprese agricole di penetrare meglio il mercato con strumenti quali la tracciabilità diffusa di tutte le produzioni che aprono le porte ai contratti di filiera.
E’ questa la sintesi di quanto emerso il 28 aprile 2018 alla 69° edizione della Fiera internazionale dell’agricoltura e della zootecnia di Foggia, durante la tavola rotonda “L’esasperazione dello Smart farming nella coltivazione delle ortive”, tenutasi nella sala convegni dello stand FederUnacoma–Unacma e aperta al contributo di concessionari macchine agricole, contoterzisti, agricoltori e tecnici.
Nel corso dei lavori, Gianni Di Nardo, segretario generale di Unacma, che ha fatto gli onori di casa, ha ricordato l’obiettivo per l’agricoltura italiana posto dall’ex ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina: arrivare al 10% di aziende condotte con tecnologie smart entro il 2020. “L’agricoltura italiana produce eccellenze che possono aiutarci a continuare a crescere, sempre che le aziende riescano a rimanere competitive grazie all’utilizzo di queste tecnologie” ha sottolineato Di Nardo.
Matteo Tamburrelli, presidente provinciale del Cai di Foggia, contoterzista, nell’illustrare l’utilizzo dei trattori a guida automatica, ha affermato: “La maggiore attenzione che l’operatore può prestare all’attività di campo, che sia essa la lavorazione di precisione centimetrica o la concimazione a dosi variabili, si traduce in un sicuro vantaggio economico, che però oggi tarda ad essere percepito e massimizzato dall’agricoltore: occorre più ricerca in campo per dare una veste concreta a questi vantaggi, le mappe di resa devono così poter diventare delle mappe di prescrizione”. Sull’assistenza all’irrigazione, Tamburrelli ha ricordato inoltre come siano importanti i dati sulla morfologia oltre che sulla natura del terreno nella compilazione delle mappe di prescrizione.
Michelangelo Paparesta della Italdroni ha quindi introdotto i possibili utilizzi dei droni in agricoltura con riferimento alle ortive, mediante l’utilizzo dei sensori posti a bordo, per la lettura di temperatura, umidità ed altri parametri utili a decidere gli interventi: da quelli irrigui ai trattamenti antiparassitari.
Michele Di Cataldo, agronomo, sull’utilizzo dei sensori ha detto: ”Servono tutti, da quelli prossimali, posti alla base delle piantine, a quelli da drone e da satellite: chi prende le decisioni in azienda agricola però, sia esso l’agronomo o lo stesso imprenditore agricolo, deve avere gli strumenti operativi e la formazione per poter interpretare tutte queste informazioni”. L’agronomo, sulla necessità di poter trasformare le mappe di resa in mappe di prescrizione ha ricordato: “Occorrono serie storiche aziendali e almeno tre anni di lavoro di rilevazione dati sulla stessa coltura: dobbiamo imparare che dalla terra non dobbiamo più solo raccogliere i frutti, ma anche le informazioni”.
Di Cataldo, sull’utilizzo dei sensori per l’ottimizzazione dell’irrigazione, ha anche sottolineato come possa essere utile “Una diffusione a livello aziendale delle cabine per il rilievo istantaneo delle precipitazioni, atteso che i sensori prossimali al suolo inviano dati ogni 30 minuti, mentre una decisione sull’eventuale apertura delle manichette va presa molto più rapidamente”.
L’agronomo, con riguardo alla formazione di agronomi e operatori ha ricordato come “Il gap tra Nord e Sud del paese inizia nelle università, basti pensare che in nessuno dei dipartimenti di Agraria del Mezzogiorno vi è una cattedra di smart farming, il tutto mentre le principali aziende multinazionali impegnate a vario titolo in agricoltura stanno investendo nel digitale: di questo passo saranno loro a fornire i software”.
Pasquale De Vita ricercatore del Crea di Foggia, intervenendo sulla necessità di studiare i vantaggi nella utilizzazione delle metodiche di smart farming “Perché le applicazioni per fornire concimazioni a dosi variabili ci sono, ma il loro uso va validato sulla base della natura del terreno” ha ricordato: “Il gap con le università del Nord Italia va colmato svegliandoci tutti e puntando a finanziare da subito la ricerca applicata con le tipologie di intervento dei Piani di sviluppo rurale legate alla misura 16, che aiuta i gruppi operativi per l’innovazione”. Il ricercatore ha ricordato come in alcuni comparti, è il caso del grano duro, la costruzione delle mappe di prescrizione e la tracciabilità diffusa delle produzione sono legati alla stipula dei contratti di filiera “Che si pongono oggi come modelli anche per altri comparti a cominciare dalle ortive”.
Luigi Nardella, direttore area agraria del Consorzio per la Bonifica della Capitanata, parlando delle esperienze ed esigenze per lo sviluppo dell’agricoltura 4.0, ha ricordato il lavoro fatto dal Consorzio in questi anni: “Assicuriamo acqua a 40mila imprese agricole consorziate su 150mila ettari qui in provincia di Foggia, e il nostro impegno è fornire 2050 metri cubi d’acqua per ettaro – mediante tessera di prelievo – secondo una tabella di utilizzo che contiene consigli di utilizzo dell’acqua, ma non prescrizioni, il che rende molto variabile la domanda di acqua”.
Nardella ha poi riferito: “Attualmente, il Consorzio ha dato mandato al Politecnico di Milano e all’Istituto per l’agricoltura mediterranea di studiare un algoritmo che ponga in correlazione il clima con le produzioni agricole in modo da ottimizzare l’irrigazione, e ricalibrare una domanda d’acqua oggi molto variabile, utilizzando sensori prossimali diffusi in grado di registrare rapidamente la temperatura fogliare delle ortive e l’umidità del terreno”.
Infine, Carlo De Michele, amministratore di ArieSpace, ha illustrato le esperienze fatte dall’azienda, spin off dell’Università degli Studi ‘Federico II’ di Napoli, con l’irrigazione assistita da satellite mediante sensori puntati sulla clorofilla, grazie ai quali è possibile “Studiare e ottimizzare la domanda di acqua e di azoto anche grazie alla disponibilità dei dati meteo al suolo e di quelli previsionali”.